Coalizione Civica la Vera Novità. Di Umberto Curi

COALIZIONE CIVICA PER PADOVA,  UNA RISPOSTA CREDIBILE ALLA CRISI DEI PARTITI

Per inquadrare  e approfondire l’esperienza di Coalizione civica per Padova mi sembrano particolarmente illuminanti gli articoli del filosofo Umberto Curi,  apparsi sulla stampa locale negli ultimi mesi. Articoli che prendono lo spunto dall’avvitamento della giunta leghista di Massimo Bitonci per ragionare sul futuro e sulle prossime elezioni amministrative per il sindaco di Padova che si terranno l’11 e il 25 giugno.  Riporterò quindi ampi stralci degli articoli apparsi sul Corriere della Sera, edizione veneta.  Questo lavoro si chiude con due domande al filosofo Curi:  la prima sulla possibilità che l’esperienza padovana, insieme con altre liste civiche, aprano nuove prospettive politiche in Italia. E la seconda sulle affinità e le distanze con l’esperienza milanese del sindaco Giuliano Pisapia.

LA CRISI DELLA GIUNTA BITONCI

A fare un bilancio sommario del ruolo effettivamente esercitato da Bitonci in quasi due anni e mezzo di governo, l’unico dato rilevante, in un fatturato striminzito e quasi insignificante, è costituito dai diversi provvedimenti assunti contro la presenza di migranti e contro minoranze socialmente emarginate, quali i mendicanti e i rom. Ma, come spesso accade, è proprio su questo terreno che si è anche aperta la frattura con l’Assessore Saia, prezioso portatore di voti al tempo delle elezioni, il quale avrebbe voluto poter rivendicare per sé le diverse iniziative assunte su questo terreno. Insomma, sulla pelle di profughi e migranti, si è aperta una gara davvero ignobile a chi faceva la faccia più feroce, allo solo scopo di garantirsi i riflettori dei media e il favore di un’opinione pubblica refrattaria a ogni espressione di umanità e di accoglienza. Era inevitabile che questo giochetto presto o tardi mostrasse la corda di una sceneggiata non ulteriormente sostenibile. Ed era dunque inevitabile che, presto o tardi, emergesse dalle fumisterie del sindaco a tolleranza zero la stoffa mediocre di un amministratore macroscopicamente non all’altezza delle sfide di una città complessa ed evoluta. Ma, come si accennava in apertura, il difficile comincia ora, a poche ore dalla caduta di una giunta destinata a non lasciare certamente rimpianti. Ora tocca all’opposizione, che tanto ha tuonato nel corso di questi due anni e mezzo, far vedere di quale stoffa è fatta. Ora è il momento di dimostrare concretamente di aver imparato la lezione della precedente sconfitta elettorale, e di essere in grado se non altro di competere con la traballante alleanza di centrodestra. Decisivo sarà il metodo adottato. Se gli antiBitonci si avviteranno nei soliti miserabili giochi di palazzo, per conquistare candidature, a vari livelli, alla ricerca di rendite di posizione, la partita sarà persa in partenza. Occorre capovolgere il percorso abitualmente seguito: non partire dall’individuazione del candidato, ma muovere invece dalla costruzione di un organico progetto di governo della città, dall’elaborazione di “un’idea di Padova”, intorno alla quale riunire le forze migliori e più avanzate di questa città. Il candidato dovrà nascere non da risibili e pericolose trame occulte, ma dal confronto aperto nel vivo dei problemi che stanno di fronte. Promuovere, valorizzare, sviluppare il potenziale di idee e di innovazioni che riguardano il futuro di Padova – questo dovrebbe essere il contesto dal quale, solo in una seconda fase, si potrà far emergere anche una personalità che possa apparire veramente affidabile. E’ un impegno difficile, che procede in senso opposto rispetto a deteriori abitudini inveterate. Ma è anche l’unico modo per proporre alla città una netta discontinuità, rispetto ad un periodo davvero oscuro, che si cercherà di dimenticare al più presto.

LISTE CIVICHE, TRASFORMISMO O AUTENTICO IMPEGNO POLITICO

Con l’approssimarsi pressochè dovunque, non solo nei comuni con meno di 5000 abitanti, ma anche in quelli per i quali è previsto il doppio turno (con l’eventuale ballottaggio), si assiste ad una moltiplicazione di liste che si definiscono “civiche”. Non è difficile capire quale sia la ragione principale che è alla base di questo fenomeno. In una fase, quale è quella attuale, nella quale la credibilità dei partiti tradizionali è letteralmente precipitata, si fa a gara per intercettare almeno una quota dell’antipolitica attraverso lo stratagemma della lista civica. Accade così che, accanto a movimenti di genuina ispirazione civica, quali ad esempio la Coalizione civica per Padova, o l’analogo tentativo in corso a Verona, l’etichetta civica venga strumentalmente utilizzata per coprire iniziative di puro e semplice trasformismo, o più semplicemente per tentare di mascherare (senza molto successo, per la verità) la vera identità politica dei soggetti che ne sono promotori. E allora può rivelarsi utile cercare di chiarire, sia pure molto schematicamente, che cosa si debba intendere per “civico”. Come è noto, la distinzione fra società civile e Stato prende forma e gradualmente si precisa fra Sette e Ottocento, soprattutto attraverso la riflessione di pensatori come Ferguson, Hegel e Marx. Senza dimenticare le differenze, anche molto accentuate, fra gli autori ora citati, si può dire che essi concorrono in modi diversi a definire la società civile come quel livello di organizzazione sociale dei bisogni e degli interessi che precede – dal punto di vista concettuale – il livello dello Stato e delle istituzioni. Si potrà poi concepire la società civile come “grado” che dalla “immediatezza naturale” dell’aggregazione familiare conduce alla “consapevolezza” dello Stato (Hegel), ovvero al contrario si potrà individuare in essa il complesso dei rapporti materiali dell’esistenza, la cui anatomia è descritta dall’economia politica (Marx) – un punto resta comunque assodato. La società civile non è un luogo di neutralizzazione dei conflitti, non è uno spazio “pacifico”, privo di contraddizioni, non identifica affatto un livello in cui non si debbano operare delle scelte. In altre parole, essa non coincide con la negazione della politica come confronto e scontro fra posizioni contrastanti, ma all’opposto riconduce la conflittualità alle sue basi originarie, di carattere economico e sociale. Da questo punto di vista è semplicemente ridicolo immaginare che una lista si astenga dal prendere una posizione definita nel merito delle principali questioni che sono al centro del conflitto politico, invocando quale giustificazione per il proprio agnosticismo il fatto di essere “civica”. L’equivoco è, a questo proposito, evidente. Civico non è l’opposto di politico. E’ l’opposto (o almeno è diverso), rispetto a quella formalizzazione della politica che è data dallo Stato e dalle sue istituzioni, ivi compresi in prima linea i partiti politici. Sviluppando coerentemente le premesse di questo ragionamento, si possono raggiungere conclusioni che appaiono perfino sorprendenti. Rispetto ai temi che le future amministrazioni comunali dovranno affrontare – dall’emigrazione alla sicurezza, dal degrado delle periferie ai servizi sociali, dal trasporto pubblico all’utilizzo del suolo – una lista potrà dirsi autenticamente civica non proclamando una pretesa (oltre che impossibile) “neutralità”, non ostentando la propria mancanza di “colore” politico, ma esattamente al contrario dichiarando esplicitamente e analiticamente le proprie opzioni, e su esse chiedendo il consenso dell’elettorato. Ove ciò non accada, i cittadini si ritengano avvisati: le sedicenti liste civiche altro non sono che l’ennesimo ingannevole travestimento di una politica tradizionale ormai giunta al capolinea.

COALIZIONE CIVICA PER PADOVA E’ LA VERA NOVITA’

Comunque debba poi andare a finire, un dato resta incontestabile. La costituzione della Coalizione civica per Padova rappresenta la novità politica più importante, e potenzialmente dirompente, di questo scorcio di storia politica del Veneto. Per un triplice ordine di considerazioni. Anzitutto per il metodo: la scelta di procedere alla costruzione di un organico e analitico programma politico, attraverso l’attivazione di ben 8 gruppi di lavoro, poi man mano cresciuti per consistenza e impegno fino a 14 , relativi ad altrettanti temi nevralgici per la vita della città, dai trasporti alla scuola, dall’ambiente alla salute, dal lavoro alle periferie. Gruppi, ai quali hanno partecipato almeno 300 cittadini, che hanno lavorato con intensità e qualità già durante il periodo delle feste natalizie, e che hanno prodotto una documentazione scritta dettagliata delle proposte per i diversi settori. Colpisce, in secondo luogo, la presenza attiva di molti giovani, abitualmente (e per ragioni ben comprensibili) sordi ai richiami della politica tradizionale, e qui invece pronti a spendersi con grande slancio e generosità. Infine, è raro, se non impossibile, trovare un mix così ben armonizzato fra partecipazione orizzontale di un numero consistente di cittadini e la condivisione di alcune regole volte a garantire efficienza e tempestività di decisioni. Un piccolo miracolo. Una vera e propria scoperta per chi pensava che il protrarsi in Veneto di una incontrastata egemonia leghista, accompagnata dall’inerzia delle forze della sinistra tradizionale, avesse alla fine provocato la cancellazione di ogni “resistenza” civica, la rassegnazione all’idea che Padova e il Veneto siano conosciuti in Italia e all’estero per i comitati anti migranti, la cacciata degli accattoni, la chiusura coercitiva dei kebab.

Si dirà che queste valutazioni sono dettate da una “simpatia” che offusca l’obbiettività del giudizio. Non è così, anche per un aspetto che va ben al di là della imminente scadenza elettorale, e che riguarda più in generale non solo tutta la regione (anche quelle parti di essa non coinvolte in consultazioni amministrative), ma offre anche una prospettiva per tutto il paese. Come spesso accade, l’eccessiva vicinanza agli avvenimenti rende miopi. Ma fin d’ora si intravede con chiarezza un punto che invece viene per lo più ignorato. Il referendum del 4 dicembre, in qualunque modo si voglia valutarlo, ha obbiettivamente segnato la fine di una fase storico-politica ben definita. La fase nella quale si sono confrontate due ipotesi teorico-politiche concorrenti, anche in forme aspramente polemiche, ma in realtà accomunate da un medesimo progetto – quello di reagire alla crisi della democrazia rappresentativa e di tutti i suoi principali istituti, dal Parlamento alla magistratura, dalla Presidenza della Repubblica al ruolo dei cosiddetti corpi intermedi, e in particolare dei partiti. IL PD renziano e il M5 stelle hanno tentato di rispondere ad una vera e propria crisi di sistema (tanto più pericolosa, perché non percepita o se vista, colpevolmente ignorata) seguendo strade opposte. Renzi puntando su riforme capaci di rilegittimare le sedi e i soggetti del sistema politico-istituzionale, conferendo ad essi efficienza e tempestività di azione. Grillo cercando di spingere fino al limite la crisi, nella prospettiva – confusa ma non utopistica – del collasso definitivo del sistema. Col 4 dicembre, entrambi i progetti sono falliti: il primo, travolto dalla marea dei no; il secondo perché inchiodato dalla contraddizione di un movimento che si batte leoninamente per difendere una Costituzione, che in realtà cerca quotidianamente di svuotare, nella prospettiva dell’instaurazione di una non ben definita democrazia diretta.

Potrà sembrare esagerato, ma esperienze come quelle della Coalizione civica, di Padova e di altre realtà venete, sono il primo e più coerente tentativo di venir fuori positivamente dalla crisi di sistema e dal fallimento dei tentativi fatti per reagire ad essa. Nel metodo, negli obbiettivi, nei valori proposti, quale che sia il risultato elettorale più immediato, una transizione non traumatica, e più in generale il futuro politico del nostro paese, si giocano in larga misura sulle possibilità di successo di esperienze come questa.

Intervista

Il recente incontro a Padova tra Coalizione civica e alcuni esponenti di Barcelona en Comù, la lista civica ispirata da Podemos che ha portato alla guida di Bacellona ,  Ada Colao,  sta a indicare la ricerca di un nuovo paradigma di organizzazione politica dal basso. Secondo lei  come l’esperienza di Padova e di altre liste autenticamente civiche  potrebbero aprire una prospettiva per l’Italia?

Per trattare questo argomento in maniera appena decente, sarebbe necessario sviluppare un ragionamento analitico, che qui è possibile solo abbozzare. Lo scenario in cui inquadrare una valutazione circostanziata del significato dell’esperienza padovana è la sempre più accentuata – anche se non vista – crisi del sistema politico-istituzonale nel suo insieme. Da almeno 20 anni, anche a seguito dell’impatto conseguente al crollo del muro di Berlino, il nostro paese attende vanamente riforme di sistema che possano rilanciare la forma democratico-rappresentativa. Nella totale assenza di iniziative in questa direzione (per responsabilità di tutte le forze politiche, nessuna esclusa), il deterioramento di tutti i principali istituti della democrazia rappresentativa ha raggiunto un punto che è probabilmente di non ritorno. Fra le conseguenze del perdurare della crisi di sistema, va annoverato anche il dilagare dei fenomeni di corruzione e la forte affermazione di movimenti populisti. E’ possibile – al punto in cui si è arrivati, non è affatto da escludere – che la crisi abbia superato il livello di guardia e sia diventata irreversibile. Se qualche possibilità ancora resta, essa coincide col superamento dei partiti attualmente sulla scena, tutti più o meno coinvolti nel degrado che ha colpito il sistema nel suo complesso. Il “nuovo inizio” implicito nell’esperimento in corso a Padova indica una prospettiva di fuoriuscita dal quadro descritto, attraverso il collaudo di nuove forme e nuove soggettività politico-organizzative.

Quali sono secondo lei le affinità e quali le differenze tra l’esperienza di Coalizione civica per Padova e quella di Pisapia a Milano?

Per brevità (e dunque anche inevitabilmente molto schematicamente) si potrebbe dire che l’esperienza milanese si è costruita sull’aggregazione dei partiti esistenti, quella padovana sul superamento dei partiti. Come ben si capisce, non si tratta di una differenza di poco conto. Anche e soprattutto perché, al di là della formulazione generale, questa differenza immette ad alcune specificità che ampliano ulteriormente lo scarto. La costruzione del programma attraverso l’elaborazione di numerosi (per numero e per composizione) gruppi di lavoro, il voto assembleare come perno del processo della decisione politica, la cancellazione delle vecchie identità, in un autentico crogiolo di idee, proposte e iniziative, la ferma rivendicazione di alcune grandi idee-guida, fanno del caso padovano un unicum, per il momento ancora senza altri esempi paragonabili. Affinchè non si pensi che il quadro ora delineato sia senza ombre, ritengo che un passaggio sarà decisivo. Coalizione civica dovrà dimostrare di “tenere”, anche una volta che il compito più immediato, quello per il quale essa si è costituita, sarà stato in qualche modo raggiunto. Il rischio incombente è che il giorno dopo le elezioni amministrative – quale che ne sia l’esito – l’esperienza possa esaurirsi, o perché ha raggiunto l’obbiettivo, ovvero perché lo ha fallito. In questo delicato passaggio si gioca la plausibilità di una prospettiva di CC che non sia schiacciata esclusivamente sulla funzione di cartello elettorale. Fare previsioni è, in politica, sempre un azzardo. Ma la mia opinione è che vi siano tutti i presupposti per conferire solidità, continuità di lavoro e capacità di rigenerazione a questa nuova e bella avventura padovana.

 (a cura di Enrico Ferri)